Lo smart working: una rivoluzione nel mondo delle imprese

Veder rivoluzionare le proprie certezze, manda in visibilio chiunque, in qualsiasi contesto e a qualsiasi età. La pandemia ha modificato molte cose della nostra vita quotidiana e dei nostri progetti. Anche se siamo stati bravi e non ci siamo fatti prendere da eccessivo panico. Abbiamo saputo affrontare passo dopo passo le diverse fasi del periodo pandemico; certo, non ne siamo ancora usciti e viviamo ancora nell’incertezza di cosa potrebbe accadere da una settimana all’altra: vedi, il cambio dei colori delle regioni italiane, a seconda dell’indice RT, registrato nelle diverse località. Lo Smart working è stata tra le attività adottate dalle aziende subito dopo aver fatto mente locale di quello che stava accadendo nel mondo. Tant’è che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha emanato il 1 marzo 2020 il Decreto che interveniva sulle modalità di accesso allo smart working e confermate dalle successive disposizioni emenate per far fronte all’emergenza. Tale disposizione di legge, è stata riconfermata attraverso il DPCM del 14 gennaio 2021, raccomandando il massimo utilizzo delle modalità di lavoro cosiddetto agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza. Tale strumento ha permesso ai dipendenti delle aziende di continuare a svolgere la propria attività con continuità, ma con un calo di personalizzazione e di senso di appartenenza all’azienda stessa. A tale cambiamento, non hanno retto molte delle architetture sociali ed economiche dei diversi paesi che sembravano scontate, per non parlare dei rapporti tra loro stessi. Un dramma, oserei dire, che ha preso il sopravvento non solo sul settore della sanità, da cui sono emerse tutte le inefficienze, ma anche nell’organizzazione delle imprese, abituate a muoversi in un determinato modo e con modalità così standard che, sono riuscite, grazie a questo periodo disastroso, a mettersi in discussione. Stessa cosa è successa nel mondo delle istituzioni e in tutti i sistemi , la cui ossatura sembrava solida ed efficiente. La portata dei rischi è stata subito messa in primo piano: come ridurla e cosa fare per adattarsi alle nuove condizioni dettate dalla legge. Si è dilagata velocemente una modalità, quella dell’improvvisazione per poter sopravvivere nell’ambito professionale, quando già da tempo ci si sarebbe dovuti evolvere nel campo dell’organizzazione aziendale. Ecco che viene riproposto lo smart working che in punta di piedi diventa l’unica formula da adottare per proseguire l’attività professionale di ogni singolo dipendente. In questo modo, ogni azienda ha fatto i conti con se stessa e le proprie potenzialità sono diventate misurabili in variabili quantitative e qualitative. La produzione ha dovuto modificare la governance con tutte le difficoltà che può comportare un simile cambiamento, che già per natura comporta inflessioni, accentuate ancor di più dal periodo storico invaso dalla pandemia da Corona virus. Tutto è cambiato, come fosse arrivata una rivoluzione e chi era pronto a fronteggiare l’emergenza, si è ritrovato a gestire i rapporti relazionali con criterio, altri in piena crisi gestionale.
L’unica a funzionare è stata la business intelligence che si è vista protagonista tra processi ormai obsoleti e facilmente superabili. Le aziende hanno iniziato ad aggiornare software e sistemi informatici in tutte le sue forme, accelerando una modalità potenziale, ferma da tempo. Il cambiamento , come è chiaro, porta ad un nuovo equilibrio ed è quello che hanno visto le imprese che hanno integrato il loro sistema gestionale con tecnologie digitali, aprendo un varco tale da portarle al ripensamento delle attività e di come venivano gestite. Si sono modificati i limiti spazio – temporali facendo venir meno, in alcuni casi, i punti di riferimento. Il dipendente arriva a cambiare percezione di sé e del suo lavoro, vacilla il senso di appartenenza alla stessa azienda. L’organizzazione sembra andare in affanno e in contemporanea vuole dimostrare di essere riuscita a mettere in atto l’arte della flessibilità. Ma è proprio così? Si considera questa modalità un’opportunità per cambiare oppure sarebbe stato meglio se fosse stata considerata una tappa d’avanguardia nella pianificazione e nella progettazione? Qual è stato il metodo manageriale seguito e interpretato in ogni dove ? Quello portato avanti per anni, era il management esatto oppure si sarebbe dovuto adottare un modo diverso arricchito da un andamento gestionale facendo riferimento alle esperienze di ogni singolo, creando opportunità alla qualità e alla eterogeneità? In ogni situazione storica in cui si è manifestata lampante la crisi sociale , economica, ha cambiato il pensiero regalando un’altra prospettiva. Noi ce lo auguriamo.
Alessandra Lofino
 

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